(A cura del Prof. Paolo Innocenti)
I tumori maligni di più frequente riscontro nel fegato sono le metastasi (tumori secondari)
Ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 15.000 nuovi casi.
Frequenti sono le metastasi provenienti da tumori che originano dal colon-retto (ma anche da altri organi).
Si definiscono “sincrone” le metastasi presenti al momento della diagnosi di tumore colo-rettale (con una percentuale che varia dal 15 al 25% dei casi) e “metacrone” quelle che si manifestano dopo l’intervento per asportazione del tumore del colon-retto, anche a distanza di anni.
Un po’ come tutti i tumori del fegato, anche le metastasi possono essere del tutto silenti. Spesso la loro presenza viene rilevata in corso degli accertamenti radiologici che il paziente con tumore del colon effettua per valutare l’estensione della malattia al momento della diagnosi o nel periodo di controllo durante e/o dopo le terapie.
Eventuali disturbi che possono presentarsi, soprattutto nel caso di masse di grandi dimensioni, sono il senso di peso, il dolore al fianco, l’epatomegalia (il fegato ingrossato) magari anche con una massa palpabile. Possono essere inoltre presenti altri disturbi del tutto aspecifici come la stanchezza, la perdita di peso e di appetito e la febbricola.
La terapia curativa per eccellenza è la chirurgia che rappresenta la procedura di prima scelta.
Il trattamento chirurgico può essere proposto anche in presenza di fattori che in passato ne limitavano l’indicazione. Per esempio non rappresenta più una controindicazione all’intervento il numero elevato di metastasi (c’è chi ha operato con successo un paziente con 48 metastasi), la loro grandezza, la presenza contemporanea di metastasi anche in altri organi. Anche la età avanzata, pregresse resezioni epatiche, la progressione della metastasi in corso di chemioterapia non rappresentano oggi una controindicazione all’intervento.
Gli ottimi risultati della chirurgia delle metastasi sono dovuti allo sviluppo di nuovi interventi (epatectomia in due tempi, epatectomia associata a radiofrequenza ecc.), di nuove tecnologie (ecografia intraoperatoria, bisturi ad ultrasuoni, strumenti a ultrafrequenza, a energia bipolare ecc.), di procedure locoregionali (chemioembolizzazione, termoablazione, chemioterapia intraarteriosa, embolizzazione portale) e di migliorate tecniche anestesiologiche.
Gli interventi variano dalle più semplici enucleo-resezioni alle segmentectomie e settoriectomie, fino alle lobectomie e lobectomie allargate.
L’importante è che si lasci un fegato residuo non inferiore al 30 % del volume totale per evitare insufficienza epatica.
La sopravvivenza oggi può anche essere superiore a 10 anni.
Va tuttavia ricordato che meno del 20% di pazienti con metastasi epatiche possono essere inizialmente sottoposti ad intervento chirurgico. Ma se l’intervento viene preceduto da cicli di chemioterapia o procedure locoregionali, molti pazienti che inizialmente erano inoperabili, possono poi essere sottoposti ad intervento. La percentuale degli operabili può salire al 40-50%! Si chiama chirurgia di salvataggio o “rescue surgery”.
Questi risultati sono oggi dovuti ad una collaborazione (leggi l’articolo) tra chirurgo, oncologo, radioterapista e radiologo che assieme scelgono un piano di trattamento personalizzato per il paziente. I buoni risultati sono tangibili.